Crimini inventati per i quali lo condannarono, in contumacia, a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo e, se lo si fosse preso, al rogo.
Alla sua morte tuttavia, a Ravenna, perché a Firenze non fu mai più riammesso, il suo funerale fu celebrato in pompa magna, e, per di più, alcuni decenni dopo, quando Boccaccio costrinse il mondo ed anche i fiorentini ad ammetterne la grandezza, essi ebbero la sfrontatezza di ingaggiare una diatriba con i ravennati rivendicandone le spoglie, che i ravennati nascosero per timore che i fiorentini le rubassero.
Spoglie che furono rinvenute secoli dopo, nel 1865, in una cassetta di legno, da un muratore, e che risultarono combaciare con due falangi che erano rimaste nel tempietto che i ravennati avevano costruito quale sua tomba.
Una vergogna non solo per i fiorentini, ma anche per gli italiani in generale, perché non ci fu certo alcuna sollevazione nazionale quando i fiorentini gli riservarono quel trattamento, e devono esserci delle buone ragioni se Dante, fuggito da Firenze, scrive nella Commedia di «come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale».
Dante che personalmente ‘accuso’ di essere paradossalmente il padre della moderna ipocrisia e bigottismo, ma perché ritengo che la Commedia sia il codice morale della società borghese nel mondo e, dopo l’Iliade e l’Odissea, la massima opera poetica, letteraria, sapienziale, filosofica e scientifica di tutti i tempi.
Nessuno insomma si meravigli degli italiani: sono così da tempo..
23.6.2019, Alfonso Luigi Marra
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